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Green Border

Regia di Agnieszka Holland vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Green Border

di obyone
8 stelle


scena

Green Border (2023): scena

 

Venezia 80. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica. 

Sorge spontaneo il desiderio di fermarsi qualche secondo e contemplare gli esili fusti ornati di smeraldo che si ergono verso il cielo in cerca di luce. Dall'alto si nota il vitale colore della clorofilla prima che la fotografia di Tomasz Naumiuk viri nei toni contrapposti del bianco e del nero e le chiome si raffreddino nel grigio dell'inverno. Quegli alberi, che uniscono in un abbraccio Polonia e Bielorussia, serrano le fila, si uniscono in un solo corpo proteggendo sé stessi e il loro habitat dal gelo della stagione. Poco importa se alla base del loro tronco vi siano piccoli arbusti o se qualche latifoglia coraggiosa condivida lo spazio angusto della pineta occupata da alberi slanciati e sempreverdi. Il bosco è un puntaspilli ed ogni albero, piccolo o grande, collabora alla sua salvaguardia reclamando lo spazio necessario per assorbire il sole pigro del giorno. A prima vista la foresta di conifere è un ambiente ostile, certamente freddo e poco rassicurante, eppure la natura, che da mesi ha rallentato il proprio ritmo fino a rimanere in un quieto e soporifero silenzio, ha fatto di quel bosco, al confine, un luogo benevolo verso tutti coloro che lo abitano.

 

scena

Green Border (2023): scena

 

Agnieszka Holland, nipote di vittime dell'Olocausto, dopo la proiezione ufficiale alla Mostra del Cinema di Venezia del suo coraggioso "Green Border", ha fatto imbufalire il Ministro della Giustizia polacco Zbigniew Ziobro che così ha twittato: "Nel Terzo Reich, i tedeschi producevano film di propaganda che mostravano i polacchi come banditi e assassini. Oggi per questo c'è Agnieszka Holland". Il cinguettio ha fatto scalpore e sollevato indignazione; i registi polacchi si sono schierati, come gli alberi del bosco, al fianco della collega che, dal canto suo, ha risposto a tono alle critiche facendo quadrato attorno alla sua opera e ai poveracci di cui ha raccontato le storie.

"Green Border" ha messo il dito nella piaga, o per rimanere in tema di alberi ha conficcato nelle crepe aride dell'animo umano un tronco da girare e rigirare con lenta e dolorosa costanza. Non c'è confronto, dunque, tra il bosco ai confini di Polonia e Bielorussia, e l'umanità intera della quale i citati paesi dell'ex blocco sovietico sono una parte rappresentativa.

L'umanità grigia di "Green Border" è priva del colore della clorofilla ed estirpa dal terreno qualsiasi "specie arborea" che "minacci", con la propria presenza, di danneggiare il proprio "habitat" ed i propri "naturali confini". L'umanità perde nettamente, contro l'aspra natura dell'Est Europa, la partita della pietà. La regista polacca ne dà ampia testimonianza senza, tuttavia, mancare dell'obiettività che rende la critica sociale e politica dell'epoca corrente dura e coerente. Nella sua "propaganda ai danni della Polonia", stando alle parole del rancoroso ministro, non risparmia accuse ai polacchi quanto ai bielorussi, questi ulitmi rei di giocare con i flussi migratori che il buon Lukaschenko, dal 2021, ha deciso di finanziare per indebolire l'Europa e costringerla ad indietreggiare di fronte alle pesanti sanzioni comminate a Minsk. Quando iniziò il proprio giochetto lo scopo del dittatore bielorusso era quello di spostare le attenzioni dell'Unione dalle" tarocche" elezioni presidenziali all'insostenibile via vai di migranti sospinti dalle forze armate verso il confine polacco. L'equazione era semplice: meno sanzioni, meno immigrati gettati sui fili spinati polacchi con cui fare i conti. 

 

Maja Ostaszewska

Green Border (2023): Maja Ostaszewska

 

Agnieszka Holland segue da presso il destino di una numerosa famiglia siriana e quello di una donna afghana, sballottati da un paese all'altro mentre alcuni cittadini polacchi, a loro rischio e pericolo, cercano di prestare soccorso ai clandestini. Costretti a riparare in rifugi di emergenza, a fuggire dagli spietati militari bielorussi e dalla polizia di frontiera polacca, i migranti, con la loro babele di lingue, vengono espulsi innumerevoli volte dalla Polonia e sospinti nuovamente nella foresta dai soldati bielorussi in un circolo vizioso di espulsioni e deportazioni degni di un sempiterno girone dantesco.

La regia di Holland è asciutta, ha un taglio documentaristico ed un approccio simile al reportage di guerra. Documenta le angherie subite dai rifugiati e la pietà delle persone, medici, volontari e giovani radicali che offrono primo soccorso, viveri e vestiti adatti per sopravvivere alla stagione invernale.

Si diceva che Holland mette in luce gli orrori bielorussi ma non è certo morbida con i propri concittadini, di qualsiasi schieramento facciano parte. La polizia di frontiera è indottrinata, e calpestare la dignità umana fa parte dell'insegnamento a cui è sottoposto, tra gli altri, il dubbioso Jan, poliziotto di frontiera che sta per avere un bambino. L'ala più estremista dei volontari polacchi, di cui fa parte Julia, rischia, invece, di vanificare I'operato delle associazioni che provvedono con dedizione alle necessità umane e politiche dei clandestini. Il giudizio su di essi rimane tuttavia sospeso poiché il rispetto delle regole non sempre aiuta a salvare vite umane e su questo l'evidenza non mente. 

 

scena

Green Border (2023): scena

 

"Green border" oscilla tra la disperazione e la speranza, due sentimenti divisi da una foresta il cui confine viene spesso valicato, ora in un senso, ora nell'altro. Per qualcuno il viaggio termina nella speranza per atri finisce nella disperazione della sconfitta. A mio avviso Holland è brava a mantenere un giusto equilibrio ed evitare di stagnare nel dramma più vergognoso o nella più ipocrita fede nella giustizia. Le sorti dei protagonisti, perciò, hanno l'esito dolce-amaro della vita reale, 

Oltre alla regia schietta di Holland e alla bravura dell'intero cast il mio personale encomio va diretto all'elegante bianco e nero che ci riporta ad un passato penoso che si credeva estinto con la caduta del Muro, quello della Polonia nazista prima, e quello sovietico, poi, in cui i diritti degli esseri umani venivano sistematicamente calpestati.

Holland, memore della propria storia e di quella del suo paese, chiude con una sequenza che lascia sgomenti. La Polonia apre le porte ad una valanga di sfollati provenienti dall'Ucraina in guerra. I cacciatori diventano angeli soccorritori senza tuttavia mettere a tacere una domanda che sviluppa radici indelebili dentro ciascuno. Che differenza ci sia tra rifugiati ucraini, africani, siriani e afghani non è dato sapere. Cambia il vento e cambiano le idee del paese e di chi lo compone evidentemente. Quello che non cambia è il bosco vergine di querce e abeti che prova a tenere unito coloro che si vorrebbero divisi. 

 

scena

Green Border (2023): scena

 

 

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