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Save the Last Dance

Regia di Thomas Carter vedi scheda film

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La recensione su Save the Last Dance

di scandoniano
4 stelle

Sarah, trasferitasi da altri lidi in un quartiere nero, prova ad inserirsi nei nuovi meccanismi completamente diversi da quelli a cui era abituata. La danza, vecchio amore di Sarah ma accantonata in seguito ad eventi di un triste passato, sarà il grimaldello per entrare nella nuova comunità: ma dovrà imparare l’hip-hop, partendo da un repertorio classico acquisito, ma verso il quale la ragazza dimostra ritrosia.

Il tema del ballo e delle sue varie sfaccettature come metafora della vita non è sufficiente a salvare il film dal novero dei prodotti cinematografici tutto sommato “dimenticabili”; l’influenza di MTV, che ci mette buona parte del budget per produrlo, è tutt’altro che silenziosa, e pur contribuendo ad una colonna sonora notevole (Pink , Ice cube, Notorius BIG), è una presenza troppo ingombrante, imponendo più scene di ballo di quante ne necessiterebbero. Il tema dell’integrazione (seppur a ruoli invertiti) è trattato banalmente e si sprecano luoghi comuni e banalità (tra cui spicca per acume la frase “Lei è petrolio, tu sei latte”!). Anche la scrittura è banale e propone classici cliché come la crisi dell’amicizia a causa di una donna, l’incompatibilità ambientale, rapporto difficile col genitore, il tentativo di redenzione dell’amico poco di buono.

Save the last dance” rimane negli annali per aver lanciato Julia Stiles, mai ripresa a figura intera durante i passi di danza classica, nel cinema che conta (ingaggiata per la trilogia di Jason Bourne, ma anche per “Mona Lisa Smile” solo per citarne alcuni), per aver riattizzato i carboni del filone “danzerino”, facendo presa su un pubblico talmente giovane che se gli si parla de “La febbre del sabato sera” pensa ad una iattura più che ad una pellicola cinematografica e per aver aiutato Duane Adler, uno degli sceneggiatori, co-autore anche degli epigoni “Step up” e “Ballare per un sogno”, a pagare numerose rate del mutuo.

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