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Into the White Night

Regia di Yoshihiro Fukagawa vedi scheda film

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La recensione su Into the White Night

di OGM
6 stelle

Cosa accade quando un caso d’omicidio rimane irrisolto. Dove fanno a finire i sospetti, le ipotesi, i rancori che quel giallo ha seminato intorno a sé. La sua esistenza prosegue lungo un filo che non è, semplicemente, quello della memoria. Il cammino di chi sopravvive riprende i passi da quell’evento, e ne trasporta le tracce attraverso il tempo, in un movimento che parte dal rancore per svilupparsi in un progetto di vita. Nel 1980, Yousuke Kirihara, il titolare di un banco dei pegni, viene trovato ucciso in un edificio abbandonato. L’unica uscita è chiusa dall’interno. La moglie dell’uomo sapeva che questi la tradiva con una sua dipendente, ma all’ora del delitto era in casa a guardare la televisione. Il figlio Ryouji è un bambino introverso, che si dedica con passione e talento all’arte della psaligrafia (taglio della carta). Quel crimine inspiegabile è circondato da un mondo ermetico, ma la scia di sangue si protrarrà, per molti anni ancora, cominciando dal suicidio col gas di una vedova – la madre della piccola Yukiho - per finire con un salto dal tetto di un palazzo. In mezzo c’è la storia di due ragazzi che crescono, senza apparentemente conoscersi, né vedersi. Ryouji scivolerà nell’ombra, mentre  Yukiho diventerà una giovane intraprendente, dall’apparenza gentile ed indifesa, ma in realtà dotata della subdola capacità di manipolare le persone a proprio vantaggio. È su di lei che l’obiettivo si concentra, per ritrarne i modi raffinati i quali, pur non sembrando palesemente falsi, diffondono comunque un alone di ammiccante mistero. Lo sguardo indugia sulla sua delicatezza, assecondando il ritmo carezzevole dei suoi gesti, ma questa ricerca della lentezza poetica e dello splendore romanzesco non giova alla narrazione. Il racconto si immerge gradualmente in un torpida prolissità, che risulta dispersiva e indecifrabile a chi, da spettatore, non può conoscere in anticipo la spiegazione che tiene insieme i vari fili della trama. Questi, inoltre, non vengono seguiti con la stessa attenzione, sacrificando la componente ossessiva che, almeno sul piano del clima psicologico, potrebbe conferire unitarietà all’insieme. In tal modo anche la  godibilità estetica dell’opera risulta diluita in una sostanza rarefatta e disomogenea, che fa perdere di vista l’aspetto più importante, ossia quell’enigma, ancora completamente oscuro, che di tutto il discorso è il punto di partenza, ma il cui spettro si dissolve rapidamente una volta chiuso il capitolo dedicato all’antefatto. Premessa e conclusione si abbracciano da lontano, chiudendo un cerchio dentro il quale la storia si era come smarrita, impegnata in stanche divagazioni sull’amicizia e sull’amore in tutte le sue accezioni, in un caleidoscopio di situazioni dai contorni sfuggenti, e solo timidamente venate di intimismo. Intanto il detective Sasagaki continua a investigare, a dispetto del trascorrere degli anni, e persino dopo essere andato in pensione, ma la sua indagine è condotta più con la forza dell’insistenza che con lo slancio della passione.  Questa trasposizione cinematografica del romanzo Byakuyako (1999) dello scrittore giapponese Keigo Higashino – che segue di solo un anno quella realizzata dal sudcoreano Shin-woo Park – ha il respiro trascinato di una saga televisiva, curata nei dettagli, ma informe nella struttura.  In Into the White Night, il regista e sceneggiatore Yoshihiro Fukagawa dimostra di preferire l’incanto dell’attimo e l’ipnosi dell’oblio all’effetto tagliente della sintesi, della prospettiva ridotta, dell’intonazione che assiste lo spettatore nella lettura critica del testo. Il naufragio è inevitabile, ed è anche piacevolmente dolce, ma l’effetto, purtroppo, non persiste fino in fondo. Nel finale, un’appendice inutilmente melodrammatica toglie di mezzo quella benefica illusione di leggerezza che per due ore ci aveva cullato in un romantico dormiveglia da favola pronunciata a fior di labbra. Il sussurro si spegne, l’arcano si scioglie, e a noi resta una gran voglia di tornare indietro per rivedere tutto alla luce del famigerato senno di poi

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