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Il romanzo di un giovane povero

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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La recensione su Il romanzo di un giovane povero

di LorCio
6 stelle

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nell’anno del Leone d’Oro alla carriera ad Alberto Sordi, è il penultimo film del grande mattatore e, per certi versi, una celebrazione del lato oscuro della sua maschera. Collegandosi idealmente alla dimensione nera che l’ha sempre abitato, benché in contesti brillanti come in Piccola posta o Il vedovo, e bagnando il naso alla nascosta (repressa?) natura sadica dell’italiano medio già affrontata in Un borghese piccolo piccolo, Sordi disegna il ritratto di un vecchio meschino, acido e malvagio, intenzionato ad uccidere l’ingombrante, assillante e pigra moglie per poter vivere una tardiva ed improbabile storia d’amore con una procace pizzicagnola. Il delitto perfetto, organizzato nei minimi dettagli anche grazie alla routine giornaliera (l’amaro bevuto al bar sotto casa come alibi inattacabile), ha bisogno di un esecutore insospettabile, e l’anziano signore lo trova in un modesto giovane disoccupato che ha appena trovato lavoro presso un tipografo.

 

 

Film minimalista, dalle ambizioni “francesi” (con la carismatica presenza di André Dussolier), non il miglior Scola per qualche carenza nel ritmo specialmente nella seconda parte, ma interessante per l’intrigo inconsueto e la vera, tangibile amarezza di fondo. La prima parte del film, ambientato nello stesso complesso abitativo già al centro di Una giornata particolare, è una sorta di commedia nera più negli intenti che nei risultati, dal momento che il vecchio si limita ad immaginare la morte dell’arrogante moglie e civetta pateticamente con la pizzicagnola. Così come la sceneggiatura di Giacomo Scarpelli ed Ettore e Silvia Scola non rinuncia ad una vena fiaccamente melodrammatica nella storia sentimentale tra l’esordiente (e portentoso) Rolando Ravello ed Isabella Ferrari. I colori lividi e spenti della fotografia di Franco Di Giacomo sottolineano la mestizia e la miseria di una periferia romana in cui tutti si conoscono e l’uno potrebbe costantemente sospettare dell’altro.

 

 

La seconda parte, che parte più o meno dalla morte della moglie di Sordi, è un intreccio giallo dall’atmosfera tipicamente scoliana, basata sulle corrispondenze tra sviluppo della trama e rappresentazione figurativa (analogie rintracciabili con La più bella serata della mia vita), e strutturata come un Hitchcock minore nel dipanarsi delle possibilità di una storia senza uscita. La parte del leone la fa anche qui un Sordi che, se diretto da un autore come cristo domanda, anche da anziano ha dato il meglio: sebbene vi sia qualche eccesso di troppo nelle sequenze in casa dopo la morte della moglie, l’irritante interrogatorio in cui accusa Ravello è un pezzo di bravura. Grazie all’emozionante monologo a favore di Ravello, la Ferrari ha conquistato la Coppa Volpi a Venezia come miglior attrice non protagonista. Ultimo film del grande caratterista Mario Carotenuto, qui impegnato in una parte di sanguigna verità.

 

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