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Il volo della fenice

Regia di Robert Aldrich vedi scheda film

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Dom Cobb

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La recensione su Il volo della fenice

di Dom Cobb
8 stelle

Robert Aldrich ha sempre dimostrato di possedere una visione virile del cinema e, altrettanto spesso, ha raccontato l'incontro/scontro tra forti personalità, tra uomini - anche tutti d'un pezzo - messi nel centro di situazioni critiche, di realtà pronte a far esplodere gli istinti più feroci, così come quelli più camerateschi. Aldrich è stato, da questo punto di vista, l'apripista e l'ispiratore per diversi registi della "nuova Hollywood" degli anni '70: le opere di registi come Michael Mann o William Friedkin contengono molteplici rimandi al cinema di questo grande filmaker. Ho usato il termine "cameratismo", perchè Aldrich ha dimostrato anche di saper girare storie con al centro gruppi di persone - di uomini (questi suoi microcosmi erano spesso prettamente maschili) - costretti a collaborare, a convivere tra di loro per cercare di sopravvivere. Ovviamente il primo esempio a cui far mente locale è il celeberrimo "Quella Sporca Dozzina", ma non dimentichiamoci il sarcastico ed amaro ritratto dell'alienante vita da poliziotto dei "Ragazzi Del Coro"; prima ancora di questi titoli venne "The Flight Of The Phoenix", autentico "survival-movie" dove Aldrich mette in scena un campionario veramenrte ampio di umanità. Il film parte come un dramma classico, con i protagonisti che, a causa di una tempesta di sabbia, sono costretti ad un rovinoso atterraggio di fortuna in pieno deserto. Senza alcuna possibilità di essere recuperati, l'unica opzione è data dal costruire un velivolo di fortuna dai resti del Fairchild C-119 incagliato, a pezzi, nella sabbia. Aldrich è grande, perchè sceglie come protagonista un attore "classico" come James Stewart (la rappresentazione per antonomasia dell'eroe dai sani principi), il quale da vita ad un personaggio con tante ombre quanti pregi: il suo Capitano Frank Towns, orgoglioso e testardo, dimostra fin da subito la sua attitudine al comando, cercando di compattare il gruppo di soppravissuti, ma scontrandosi con Heinrich Dorfmann (Hardy Kruger), ingegnere aeronautico ed autentica mente progettista del "Phoenix": ne esce uno scontro di personalità tra Stewart, ex-asso della Seconda Guerra Mondiale che pensa di sopperire alle difficoltà con il proprio istinto e Kruger, il quale incarna il prototipo del "perfetto tedesco" grazie alla sua teutonica efficienza e freddezza. A far da paciere tra i due il vice di Stewart, interpretato da Richard Attemborough, che mette in scena il ruolo di un uomo tormentato dalla sua dipendenza dall'alcool ed in cerca di riscatto. Una terza forte personalità dominante del gruppo è personificata dal Capitano Harris (Peter Finch, professionale ed efficace come suo solito), militare fin troppo rigido e formale nel seguire i regolamenti, che paga a caro prezzo la convinzione di poter trattare con i predoni arabi. Aldrich, perciò, gioca anche con le nazionalità dei suoi protagonisti: l'istintivo Stewart è uno yankee, Kruger è appunto l'efficiente tedesco, mentre l'impettito Capitano Harris di Finch è inglese (da notare che anche gli attori, nella realtà, avevano le medesime origini dei loro personaggi). Anche il resto del cast è composto da attori e caratteristi da grandi occasioni, a cui Aldrich cerca di dare adeguato spazio: se, per esempio, nel film Ian Bannen e George Kennedy stemperano la paura proprio con il cameratismo e l'ronia, Gabriele Tinti da vita alla tragica figura del suicida disperato e ferito che pensa alla moglie ascoltando "Senza Fine" cantata da Ornella Vanoni. Ernest Borgnine, attore-feticcio di Aldrich (mi viene subito in mente il suo capotreno intransigente e sanguigno de "L'imperatore Del Nord") è un operaio malato di una forte depressione (anch'esso sarà vittima del deserto), mentre Dan Duryea si allontana dai personaggi (negativi) che lo hanno caratterizzato, vestendo i panni di un mite ragioniere che si fa forza con la fede in Dio. Quindi Aldrich mette in scena un'umanità tutt'altro che vincente; al contrario, i suoi personaggi potrebbero quasi essere considerati degli "anti-eroi", perchè si tratta, come nel caso di questo film, di persone normali vittime di una situazione potenzialmente mortale e clustrofobica, la cui "claustrofobia" è data, paradossalmente, dall'immenso deserto implacabilmente rovente e letale, il quale non permette di avventurarsi se non a pochi passi di distanza dal relitto dell'aereo, con cibo razionato, acqua centellinata e sempre con il rischio di smarrire la lucidità mentale ed il senso del gruppo: i personaggi di Stewart e Kruger, solo quando mettono da parte le rispettive riserve ed il rispettivo orgoglio possono guidare gli altri verso la salvezza. Equilibrando, cioè, l'istinto con la ragione. Da dimenticare, secondo me, l'indegno remake girato da John Moore nel 2004.  

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