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Wimbledon

Regia di Richard Loncraine vedi scheda film

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La recensione su Wimbledon

di marcopolo30
3 stelle

Incrocio davvero poco felice tra l'arte cinematografica e quella tennistica. Tengono banco una love-story di ordinaria fattura e scene di tennis giocato tanto abbondandanti nella quantità quanto modeste nella qualità.

Cinema e tennis formano un binomio la cui digeribilità è pari a quella del mix latte - limone. Pochissimi i contatti ravvicinati tra tali realtà negli ormai lunghissimi 127 anni di storia del cinema. Nel periodo classico il tennis serviva in genere da sfondo inerte per permettere d'identificare d'acchitto, a colpo d'occhio, lo status socio-economico di un dato personaggio. Detto in altre parole, serviva solo il campo da tennis, non il tennis giocato. Si pensi ad esempio a “Sabrina” di Billy Wilder. In tempi più recenti è andato facendo la sua occasionale comparsa in maniera un po' meno passiva, vedasi “Match Point” di Woody Allen, ma comunque sempre marginale all'interno dell'economia del racconto. E verrebbe da chiedersi come mai uno degli sport più popolari a livello planetario sia stato portato sul grande schermo col contagocce. La (mia) risposta è la seguente: il tennis è uno sport privo di contatto con l'avversario, non è pericoloso, non porta gli atleti a sfidare impensabili limiti fisici, non da vita ad eventi drammatici (in una occasione, una trentina di anni or sono, Monica Seles venne pugnalata da un invasore di campo, ma era il gesto di un folle, non certo parte del gioco). Non solo. Il tennis è uno sport estremamente tecnico. Io ho ad esempio praticato a livello agonistico giovanile sia calcio sia tennis. E bene, ancor oggi, un quarto di secolo dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, se mi capita l'occasione (e se sono minimamente allenato), riesco a prender parte a una partita di calcetto senza rimediare figure barbine, mentre ricordo ancora la frustrazione estrema provata nel tornare a prendere in mano una racchetta appena 5 o 6 anni dopo aver smesso e rendermi conto che ero a mala pena capace di rimandare la palla dall'altra parte della rete. Ciò vuol dire che realizzare scene di gioco di qualità diventa oltremodo difficile. Ecco, la somma di questi fattori fa si che autori di cinema dotati di un minimo di saggezza si tengano alla larga da tale soggetto, mentre quelli poco accorti, come in questo caso Richard Loncraine, falliscano malamente nell'intento. Guardare infatti “Wimbledon” risulta, per chiunque abbia giocato a tennis, un pugno in un occhio. I due protagonisti, Paul Bettany e Kirsten Dunst, avranno senz'altro seguito l'accurata, specifica preparazione curata ad hoc dall'ex campione di Wimbledon Pat Cash, ci sta pure che a tennis giochino davvero nella vita privata, e le movenze, i gesti sono quelli giusti. Ma dall'imitare le movenze di un campione a giocare come un campione la differenza è abissale, e vedere in una finale del torneo dei tornei colpi vincenti che cadono un metro al di qua dalle linee è -per chi il tennis lo mastica anche solo un po'- tanto realistico quanto vedere un pesce spada che affonda una portaaerei a nasate. E se aggiungiamo che a Wimbledon dopo il terzo turno non si giocano i quarti di finale, come accade in questo film, ma bensì gli ottavi di finale, il quadro diventa ancor più preoccupantemente inverosimile. Tennis a parte, v'è qui una love-story che poco o nulla apporterà alla storia del cinema sentimentale, e una simpatica particina per un giovanissimo James McAvoy. Chris Evert e John McEnroe interpretano invece se stessi, cosa decisamente sorprendente soprattutto per quest'ultimo, considerato il suo passato da vero ribelle. Nel complesso una commediola innocua e probabilmente poco interessante per chi non ama il tennis, superficiale (e comunque poco interessante) per quelli a cui tale sport piace.

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