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Gli sfiorati

Regia di Matteo Rovere vedi scheda film

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La recensione su Gli sfiorati

di maurizio73
4 stelle

Giovane grafologo di bella presenza si vede piombare in casa, alla vigilia del matrimonio del padre con la sua ventennale amante, una sorellastra, sensuale e procace, che si accampa nel suo divano nel provocante deshabillé di una magliettina ed un paio di slip. Deciso a sfuggire tanto alla logica di un rancoroso riavvicinamento familiare con il padre quanto di resistere alle tentazioni di una inevitabile quanto incestuosa concupiscenza con la sorella, trascorre le sue giornate fuori di casa, dividendosi tra il lavoro ed una coppia di amici di cui condivide avventure e difficoltà. Le sue peregrinazioni senza destinazione però finiscono per condurlo sempre al punto di partenza ed all'inevitabile rendez-vous con la bionda sirena che ospita in casa.

 

 

 

Avendo cura di rispettare la meritoria presenza di Domenico Procacci e della sua Fandango nel disastrato panorama cinematografico nostrano, omettiamo di riflettere sulle scelte editoriali che conducono i nostri giovani autori a cimentarsi nella solita commedia brillante in cui la leggerezza degli argomenti trattati viene appena appesantita dalle remore di confuse quanto pretestuose teorie sociologiche che gli dovrebbero conferire consistenza e interesse, al di là della infinita sfliza di luoghi comuni e della insostenibile bonaccia di una rara piattezza narrativa, tra una messa in scena da serialità televisiva, la banalità di dialoghi al limite del demenziale e l'approfondimento psicologico dei cartoni per l'infanzia. A questa categoria di sottoprodotti dell'intellighentia culturale italica (l'omonimo romanzo di Sandro Veronesi) non sfugge nemmeno questo secondo lungometraggio del giovane Matteo Rovere che, col pretesto di una coralità telefonata, finisce per affidare il peso (si fa per dire) del film sulle spalle del belloccio ed inespressivo Andrea Bosca quale rappresentante di una gioventù smarrita e sradicata al tempo delle famiglie allargate e delle relazioni da 'una botta e via' e dove pur nella ricerca di una prorpia dimensione emotiva e sentimentale (lui grafologo che avrebbe preso dalla madre le arguzie di una inusitata sensibilità professionale) finisce per cedere alla (facile) tentazione di una sorella(stra) agorafobica (?) che gli tende quotidiane trappole sul divano di casa. Inutile dire che gli siamo umanamente vicini (la italo-spagnola Miriam Giovanelli è una delle sette meraviglie della natura) pur se gli effetti di una finta-trasgressione che chiude circolarmente la narrazione è disinnescata dall'inefficacia di un finale più che scontato che riesce a vanificare persino i rari spunti di un occasionale onirismo erotico (reminescenze del romanzo di Veronesi?) quanto la sacrosanta irritazione per una confusa teoria sui 'loro' tipi umani: li sfiorasse almeno l'intelligenza di far capire agli spettatori di cosa starebbero parlando! Santamaria dimesso e depresso è davvero inguardabile, mentre più vivace e giogiona la prova del bravo Michele Riondino, coatto di qualche ambizione che si muove a suo agio in una Roma di appartamenti con vista sui Fori ed i bagordi della movida capitolina. Dal titolo comunque avremmo dovuto già capire che si sarebbe trattato di un'idea di cinema alquanto approssimativa.

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