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Viva l'Italia

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Viva l'Italia

di FABIO1971
6 stelle

"L'Italia di metà Ottocento [...] non era, come gli Stati Uniti della Guerra di Secessione, un paese largamente alfabetizzato ed avviato sulla strada della modernizzazione economica e sociale. Era, al contrario, un paese di contadini e contadine analfabeti; al Sud più che al Nord, ma in larga misura anche al Nord. Di fatto, questo vasto e maggioritario strato sociale fu escluso dalle dinamiche dell'unificazione, che coinvolsero invece in modo consistente i ceti medio-alti mentre parte del popolo urbano rimase fuori; non per ostilità preconcetta, ma piuttosto per l'incolmabile estraneità del proprio orizzonte mentale e delle proprie esigenze materiali rispetto ai progetti coltivati dai nazionalisti, tanto moderati quanto democratici. Il Nord sabaudo invadeva il Sud borbonico? Per molti versi sì, ma anche col consenso di una parte delle elite del Sud (e non solo di quelle conservatrici messe in scena nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa), desiderose di approdare ad un orizzonte liberale che la dinastia borbonica si mostrava restia a dischiudere. Nè, del resto, il brigantaggio fu in alcun modo, dopo l'unificazione, l'organica rappresentanza armata del popolo meridionale. Fuor di retorica, anche quest'ultimo ne patì le violenze e la ferocia. Resta però il fatto che la stessa violenza e la stessa ferocia vennero esercitate, in quegli stessi anni e in quegli stessi luoghi, dai rappresentanti delle nuove istituzioni nazionali, nel quadro di un drammatico contrasto tra le promesse di libertà e di progresso con le quali i Mille si erano presentati nel Mezzogiorno e l'esercizio antilibertario dello stato d'assedio, proclamato per sedare quella che non poteva essere definita altrimenti che come una guerra civile. Furono anni durante i quali gli ex-sudditi delle Due Sicilie ebbero, certamente, poche occasioni per compiacersi della propria, nuova condizione di regnicoli italiani".
[Marco Meriggi - Il vuoto sotto la nazione - estratto da La conquista - 1815-1870: l'unità italiana nell'era della borghesia - Vol. 1: Restaurazioni - Il Manifesto, 2010]

"Ad ogni terrazza una scarica, una corsa fremebonda sotto la mitraglia nemica, una mischia rapida, muta, disperata, un momento di riposo ai piedi della terrazza conquistata, e daccapo un'altra scarica, un'altra corsa, un'altra mischia, altri prodigi di valore, altro nobile sangue che gronda, altri italiani che uccidono italiani; finchè viene un punto in cui il coraggio avendo ragione del numero, e la costanza della morte, il nemico scacciato di altura in altura, abbandona il campo: ecco Calatafimi".
[da Giuseppe Guerzoni - La vita di Nino Bixio - 1875]

"Sono venuto al cinema carico di tutto il mito del cinema e dal mito del cinema ho cercato di uscire, un poco alla volta... Ora, una delle cose che mi preoccupa in modo fondamentale è l’onestà, cioè di non essere suggestivo, quindi di spogliare l’immagine di tutti i possibili ingredienti di suggestione, per rimanere alle cose".
[Roberto Rossellini]

La voce fuori campo illustra, sullo sfondo di una cartina geografica, le premesse storiche: "Nel 1860 l'Italia era divisa in otto stati: il Regno Sardo, che comprendeva la Sardegna, il Piemonte e la Liguria, con capitale Torino, un anno prima si era annesso con il trattato di Villafranca la Lombardia, fino a Peschiera e al Mincio. Al Regno Sardo, re costituzionale Vittorio Emanuele II, primo ministro il conte Camillo Benso di Cavour, dopo l'insurrezione del 1859 si era unita parte dell'Emilia Romagna. L'Austria dominava ancora il Veneto, indipendente la Repubblica di San Marino. I Granducati di Parma, Lucca e Toscana avevano votato nel mese di marzo in favore dell'annessione al Regno Sardo. Lo Stato Pontificio comprendeva il Lazio, l'Umbria e le Marche, capitale Roma, il papa regnante era Pio IX. Il Regno delle Due Sicilie comprendeva la Campania, Abruzzo, Molise, Puglie, Calabria e Sicilia, re Francesco II di Borbone, capitale Napoli. Contro le assurde frontiere che dividevano la nostra terra e rendevano l'uno all'altro stranieri i figli di una stessa lingua, dopo sessant'anni di eroiche lotte, un solo grido parve levarsi in quell'anno glorioso: viva l'Italia! Tutta la Sicilia era percorsa da un fremito di libertà: a Palermo, la notte tra il 3 e il 4 aprile del 1860, un gruppo di congiurati s'era radunato nel convento della Gancia, da dove, con lo spuntare del sole, sarebbe dovuto partire il segnale della rivoluzione".
Nonostante il tentativo venga stroncato brutalmente dalle milizie borboniche, la Sicilia è ormai insorta e i fuochi della rivolta divampano in tutta l'isola. In Liguria, intanto, Giuseppe Garibaldi (Renzo Ricci, doppiato da Emilio Cigoli), insieme al suo braccio destro Nino Bixio (Paolo Stoppa) e al fidato Giuseppe Bandi (Franco Interlenghi), giovane tenente dell'esercito, sta organizzando tra molte difficoltà i dettagli della sua spedizione in Sicilia: il denaro, infatti, scarseggia e mancano le armi, soprattutto il milione di fucili necessari all'impresa (perchè, come spiega Bixio a Garibaldi, "il governatore di Milano, Massimo D'Azeglio, ha messo sotto sequestro tutte le armi del fondo per il milione di fucili" e, nonostante il Ministro degli Interni abbia ordinato la revoca dell'ordine, non possono disporne senza l'approvazione di Cavour, che però, conclude Bixio, non si trova a Torino perchè "sente puzza di repubblica"). Ma non hanno alcuna intenzione di desistere, "con i fucili o senza fucili si partirà ugualmente", anche perchè dalla Sicilia iniziano a giungere notizie preoccupanti sull'insurrezione, completamente stroncata a Palermo ma ancora viva nelle altre province. Garibaldi non ha esitazioni, come sottolinea vibratamente a Giuseppe La Farina (Franco Lantieri), segretario della Società Nazionale: "Non mi sono mai illuso che all'improvviso, per virtù dello spirito santo, Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele e Pio IX ci mettessimo a braccetto per far l'Italia una, ma sono fermamente convinto che, al punto in cui stanno le cose, o si dà mano a questa operazione siciliana senza l'ostacolo del governo piemontese o la si dà contro la sua volontà". Ed infatti Garibaldi ed il suo esercito di mille volontari si imbarcano in fretta e furia a Quarto su due piroscafi dell'armatore Rubattino trafugati da Bixio, mentre le truppe borboniche, guidate dal generale Landi (Amedeo Girard), si concentrano a Calatafimi ed attendono i rivoltosi, sbarcati a Marsala l'11 maggio e nascostisi a Salemi per preparare la marcia su Palermo, protetti dai contadini ed appoggiati anche dalla "mafia di campagna" ("La mafia sta con i liberali, con i baroni traditori, con quei briganti"). La battaglia tra le alture intorno a Calatafimi, nonostante la disparità di forze in campo, si rivelerà un inaspettato successo per gli uomini di Garibaldi, rinforzati dal provvidenziale intervento dei contadini del luogo ed ora pronti a marciare verso Palermo, dove i Borboni hanno radunato 40000 soldati (più altri 8000 tra bavaresi e svizzeri). Dopo una sanguinosa battaglia, la città viene conquistata e i Borboni costretti a negoziare la resa: la guerra di liberazione, però, non è ancora terminata e Garibaldi riparte con le sue truppe verso Milazzo e lo stretto di Messina. "Le coste della Calabria apparivano finalmente agli occhi dei soldati della libertà italiana in tutta la loro sfolgorante bellezza. Avrebbe saputo Garibaldi attraversare quel tratto di mare? Avrebbe trovato la forza militare e la decisione politica per lanciare i suoi uomini contro tutte le difficoltà, malgrado tutti i complotti che si andavano tramando per mandare a fallimento la sua impresa? Un solo, breve tratto di mare, lo stretto di Messina, separava la punta avanzata della rivoluzione dalle fortificazioni borboniche del castello di Scilla, la fiamma della libertà dalla strada di Napoli". L'impresa non è affatto semplice, perchè se è vero che i siciliani spingono per l'unione immediata col Piemonte, in modo che Cavour invii subito nell'isola il suo esercito per garantire l'ordine e la pace, gli emissari di Vittorio Emanuele II tentano di convincere Garibaldi a desistere dall'attraversare lo stretto: sbarcare in Calabria, infatti, significherebbe diffondere la rivoluzione nell'Europa Continentale, col rischio, oltretutto, di subire le ritorsioni di Napoleone III, che ha proposto all'Inghilterra una comune azione navale per bloccare in Sicilia Garibaldi ed i suoi uomini. Ma anche i congiurati calabresi sono schierati con Garibaldi e, ansiosi di passare all'azione, organizzano la presa del forte di Scilla e predispongono le manovre per proteggere lo sbarco delle camicie rosse, mentre a Napoli re Francesco II, allertato dalle notizie dei successi di Garibaldi, si prepara ad abbandonare la reggia e a ritirarsi a Gaeta per risparmiare alla città gli orrori di una sanguinosa guerra civile. I Mille sbarcano con successo in Calabria e si insediano a Napoli, dove, nel frattempo, si dirigono anche le truppe piemontesi: le intenzioni di Cavour, infatti, sono di impedire un'eventuale marcia dei garibaldini prima su Roma e poi verso Venezia, contando anche sull'eventuale riorganizzazione dell'esercito borbonico, le cui linee si sono rinsaldate lungo il corso del Volturno ed i cui avamposti sono arrivati a pochi chilometri da Caserta. Togliere di mezzo Garibaldi, quindi, per evitare i rischi di un conflitto su vasta scala, converrebbe a tutti, dai Borboni a Cavour, che preme per l'annessione immediata della Sicilia al Piemonte senza attendere la fine della missione dei Mille, e all'Austria. A Napoli arriva anche Mazzini (Pietro Braccialini), che si incontra con Garibaldi e gli consiglia, per avere Roma, di esigere con fermezza da Vittorio Emanuele II l'allontanamento di Cavour: "Non possiamo abbandonare Roma e Venezia al papa e agli austriaci in un momento in cui tutti gli spiriti liberi d'Europa attendono il contributo dell'Italia. Cavour basa tutti i suoi piani sul consolidamento della monarchia, non sullo sviluppo della democrazia: egli vuole rimettere la bandiera dell'unità d'Italia nelle mani del Piemonte, vuole cancellare il mito di Garibaldi, l'eroe del popolo che dà ombra alla figura del re, del suo re". La situazione, però, è critica, perchè i soldati stretti attorno a Francesco II oltre il Volturno costituiscono la parte migliore dell'esercito borbonico, oltre 50000 elementi, i più fedeli ed esperti, "fanatizzati dai loro ufficiali e dai loro cappellani": inoltre un proclama di Francesco II consentirà alle sue truppe libertà di saccheggio se Napoli verrà liberata il giorno del suo compleanno. Ma l'entusiasmo dei garibaldini ha la meglio sugli avversari e la battaglia del Volturno si rivela l'ennesimo trionfo. Garibaldi, nonostante il successo, stempera subito gli animi infuocati dei suoi uomini e frena la gioia dei suoi ufficiali, da Bandi a Menotti (Leone Botta): "La battaglia del Volturno è stata una battaglia difensiva e non offensiva: ha salvato Napoli da un ritorno dei Borboni, ma non ha distrutto l'esercito napoletano, che se ne sta, forte di 40000 uomini, tra Capua e Gaeta". Poi, finalmente, a Teano, l'incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, la consegna ufficiale al re dei territori liberati ed il ritorno dell'eroe alla sua Caprera...

Viva l'Italia, pellicola commemorativa del centenario dell'Unità nazionale, occupa, nella filmografia di Roberto Rossellini, il ruolo e la posizione dell'opera spartiacque: la svolta pedagogica della poetica cinematografica dell'autore, infatti, matura proprio in questo periodo ("Credo che usando opportunamente i mezzi teleaudiovisivi si potrebbe fornire al pubblico, oltre che dei passatempi, anche la conoscenza dell’uomo e della sua storia, facendo dello spettacolo nel senso più popolare della parola e nello stesso tempo nutrendo la mente e stimolando la coscienza"), innescata dall'esigenza di volgersi al passato per cogliere le radici del presente e comprenderne evoluzione, mutamenti e possibili scenari futuri. La conoscenza, quindi, alla base dell'esperienza cinematografica, il regista come demistificatore di ogni conformismo veicolato dalla pigrizia e dall'omologazione dell'informazione, il film come testo didattico ("Penso che il cinema, come la televisione e gli altri mezzi di diffusione, possano fornire all’uomo moderno una quantità di nozioni e informazioni che gli permettano di prendere coscienza del complesso mondo al quale appartiene"), l'approccio divulgativo ad orientare le scelte metodologiche (l'accuratezza della rievocazione storica filtrata attraverso l'essenzialità della cronaca documentaristica). Per accostarsi alla cornice storico-sociale del Risorgimento italiano, alla statura imponente di personaggi come Garibaldi (ottimamente interpretato da Renzo Ricci, doppiato da Emilio Cigoli), Bixio, Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini, Francesco II e alla complessa ed incalzante successione di eventi che segnarono la leggendaria spedizione dei Mille, Rossellini, coadiuvato in fase di sceneggiatura da Sergio Amidei, Diego Fabbri, Antonio Petrucci, Antonello Trombadori, Luigi Chiarini e Carlo Alianello, sceglie di aggirare con cura ogni intento agiografico per evitare di impantanarsi nella retorica di una rievocazione pomposa e solenne, concentrandosi sulla demitizzata quotidianità di gesti dei suoi eroici personaggi, sulla frammentazione episodica del racconto, sulla cronaca minuziosa e fedele delle battaglie, sul fascino ed il rigore della ricostruzione ambientale. I rischi erano molti: affidare i passaggi-chiave della vicenda alla sintetica, ma straniante, essenzialità dei dialoghi "storici", sfiorare l'enfasi nazionalistica proponendo una visione eccessivamente trionfalistica dell'impresa, smarrire l'omogeneità complessiva dell'opera appiattendo la fluidità del racconto nelle pastoie di una struttura narrativa troppo schematica. Rischi che, senza troppi giri di parole, Viva l'Italia non riesce ad evitare completamente: la fastosa veste spettacolare, infatti, stride platealmente con i toni dimessi con cui viene reso sullo schermo il privato di Garibaldi e dei suoi uomini, mentre l'impostazione della rilettura rosselliniana si concentra maggiormente sulla successione degli eventi, relegando in secondo piano (o affidandole a dialoghi esemplificativi) le riflessioni sulle contraddizioni e le dinamiche sociali del processo di unificazione. Ne emerge un quadro suggestivo ma imperfetto, discontinuo, appassionato ma non sempre appassionante, dove lo smalto della messinscena e delle scelte registiche (tripudio di piani sequenza, uso stilisticamente superbo della profondità di campo), i preziosismi cromatici della magnifica fotografia di Luciano Trasatti, l'imponenza delle scene di massa, affidate a centinaia di comparse, la cura della ricostruzione scenografica e dell'ambientazione (evidente soprattutto nelle sequenze migliori del film, dall'arrivo dei garibaldini a Palermo, accolti dalle cannonate del nemico, alle battaglie di Calatafimi e del Volturno, fino alla fuga di Francesco II dalla reggia di Napoli) finiscono per prevalere sulla lucidità dello sguardo e l'incisività dell'impostazione drammaturgica.

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