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Dove vai sono guai

Regia di Frank Tashlin vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Dove vai sono guai

di FABIO1971
8 stelle

“Jerry non prova mai. Un ciak e via. Con Jerry se provi muori. Così non si può fare niente di interessante con la macchina da presa: le sue abitudini ti dettano lo stile. Certe volte, quando sono costretto a ripetere una scena, lui me la cambia e la trasforma in qualcosa di completamente diverso. È il suo fascino, questo: non si sa mai che cosa sta per fare. Non legge le sue battute finchè non entra sul set, e comunque non le dice mai così come sono nel copione: di solito le migliora. Io mi limito a spiegargli a grandi linee la scena e lui la fa, una botta e via, ed è bravissimo. Ma non ci sono medaglie da prendere, quando dirigi un film di Jerry Lewis“.
[Frank Tashlin - estratto da: Peter Bogdanovich - Chi ha fatto quel film? - Fandango Libri, 1997-2010]


Norman Phiffier (Jerry Lewis), dog-sitter ventiseienne, è fidanzato con la ricca ereditiera Barbara Tuttle (Jill St. John): la modesta posizione sociale di Norman, però, si scontra con il volere e le aspirazioni della signora Tuttle (Agnes Moorehead), la dispotica madre di Barbara, decisamente contraria alla relazione tra i due giovani. La donna, infatti, ha iniziato a indagare sul conto del possibile, futuro genero, sulle sue doti tutt’altro che brillanti e sulla sua cronica incapacità a conservarsi un posto di lavoro (non ha neanche superato i test per fare il postino: “Spalle a bottiglia, la borsa gli scivolava via”…), tanto da non credere ai propri occhi di fronte ai filmati delle “imprese” di Norman che le mostrano gli investigatori: “Si alleva una figlia, le si danno tutte le più belle cose che il denaro possa comprare e quella ti incontra un coso del genere, se ne innamora, lascia la sua bella casa per andare ad abitare in una specie di catapecchia, si cambia il nome perché nessuno sappia che è un’ereditiera e lavora in incognito in uno dei miei negozi, uno dei magazzini che dovrà ereditare”. Intenzionata a risolvere una volta per tutte la spiacevole situazione, la signora Tuttle decide di far assumere Norman ne suo grande magazzino, dove lavora anche Barbara, per affidargli “i lavori più impossibili e schifosi che esistano” e screditarlo, così, agli occhi della figlia. Norman, a cui Barbara ha evitato di rivelare ogni riferimento alla propria ricchezza sapendo che altrimenti lui non accetterebbe, per orgoglio, di sposarla, apprende con gioia la notizia del suo nuovo incarico, con cui potrà finalmente dimostrarle di non essere un incapace e di meritare il suo amore. Il primo giorno di lavora, ancora elettrizzato per l’opportunità concessagli, si mette subito a disposizione del direttore, il signor Quimby (Ray Walston), pronto a farsi valere. Farà, letteralmente, sfracelli…

Settima regia di Frank Tashlin per Jerry Lewis: scritto dallo stesso Tashlin insieme a Harry Tugend (qui al suo ultimo script), incorniciato nel coloratissimo Technicolor della fotografia di W. Wallace Kelley (alla sua seconda collaborazione con il regista e per la quinta volta insieme a Lewis) e sorretto da ritmo, verve e trovate sempre incontenibili, Dove vai sono guai appare, rispetto al film gemello Pazzi, pupe e pillole, girato l’anno seguente, titolo meno esilarante ma altrettanto distruttivo: entrambe, comunque, prodigiose opere estreme nell’esaltazione della propria, sfrenata vena parodistica e nella comune aspirazione alla selvaggia devastazione di codici, segni, oggetti, corpi, equilibri, trasfigurando nella comicità più cartoonesca (im)possibile l’elegiaca adorazione del Caos, altare ideale su cui sacrificare l’illusione del cinema.

Lewis si presta al gioco con la consueta e totale dedizione alla causa, inanellando una gag dopo l’altra e tratteggiando il suo Norman Phiffier (il cui cognome verrà storpiato, durante il film, da quasi ogni personaggio) con generose bordate di divertentissima idiozia e stralunato candore.

Molti i momenti spassosi: le gag e i battibecchi tra la signora Tuttle e suo marito, il celebre numero The Typewriter (su musiche di Leroy Anderson), in cui Lewis simula la battitura a macchina, Lewis alle prese con l’asta della bandiera appesa al nono piano del palazzo, la lezione di golf al signor Tuttle, Lewis commesso nel reparto di calzature da donna, o, esilarante, nel reparto materassi, poi, sempre più devastante, mentre armeggia maldestramente con un fucile, lo sventurato poliziotto stradale in servizio davanti all’ingresso dei grandi magazzini, l’aspirapolvere “difettoso”, che Lewis trasforma in un’arma di distruzione di massa.

Spumeggiante il cast d’interpreti, capeggiato dall’irresistibile coppia di coniugi-miliardari formata da Agnes Moorehead e dal suo “eroico” marito John McGiver e, tra le figurine di contorno, una spiritosa Francesca Bellini nei panni di Shirley, la sexy-segretaria del signor Quimby, e un quasi commovente Dick Wessel in quelli del poliziotto stradale, su cui Lewis e disgrazie varie (tra cui una “dispettosa” pallina da golf) si accaniscono con memorabile furia.

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