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Play Time

Regia di Jacques Tati vedi scheda film

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La recensione su Play Time

di Peppe Comune
8 stelle

Monsieur Hulot (Jaques Tati) vaga in un quartiere parigino dalle architetture avveniristiche e dopo aver tentato invano di farsi ricevere da un impiegato dei pubblici uffici in un palazzo enorme e ultramoderno, rimane invischiato in mezzo a un gruppo di turisti statunitensi e coinvolto nell'inaugurazione di un ristorante moderno che si trasforma in un susseguirsi di guai e disfunzioni. Per la verità noi diciamo di trovarci a Parigi perchè questo c'è scritto sull'insegna all'aeroporto dove arrivano i turisti e perchè questo dicono gli stessi turisti venuti dalla lontana America con la loro frenetica voglia di scattare fotografie. In realtà di Parigi non si vede un bel niente, solo le fugaci immagini riflesse nel vetri delle vetrine della Torre Eiffel e dell'Arco di Trionfo. Il resto è tutto un ammasso di edifici moderni, simmetrici e incolori, con le persone che sembrano muoversi come dei tarantolati e la sensazione che questo mondo ipertecnologizzato stia collassando sempre nell'aria. In realtà stiamo a "Tativille", nel quartiere voluto da Jaques Tati alla periferia di Parigi, che doveva servire come centro di produzione per il suo genio creativo e reso fruibile per l'intera collettività e che, invece, si rivelò essere un vero e proprio disastro economico a causa dello scarso successo al botteghino di “Play Time”, che di quell'idea doveva rappresentare la punta di diamante e il volano per futuri progetti.

 

 

“Play Time” è il film in cui Jacques Tati porta all’estremo la sua critica contro la società dei consumi, e lo fa aumentando la carica surreale della sua comicità e particolareggiando ancora di più aspetti stilistici a lui tanto cari : facendo del suo corpo dinoccolato quell’agente estraneo che si insinua in un mondo che non gli appartiene, diventandone così l’elemento che ne fa risaltare tutto il carattere disfunzionale, e portando al limite il suo spirito di osservazione critica attraverso l’ampio utilizzo di campi lunghissimi (il film è stato girato in 70mm e “sarebbe” inadatto al piccolo schermo) che, racchiudendo in una sola inquadratura un cospicuo numero di informazioni, accrescono la percezione di trovarci di fronte a un teatro comico dell’assurdo. Si possono distinguere due momenti ben distinti del film : quello in cui Monsieur Hulot si trova immerso in un grande palazzo di vetro, con corridoi interminabili, uffici che somigliano ad alveari e la sensazione di immobilismo che scaturisce dalla prevalenza dei rumori della “tecnologia” sulle voci dell’uomo e dall’angosciante asetticità del luogo, e l’altro, che si svolge in prevalenza al Royal Garden, all’inaugurazione del nuovo ristorante cittadino che si trasforma in una sarabanda di equivoci e malintesi. In entrambi i casi, sia nell’ordine geometrico del palazzo che nella disordinata confusione del ristorante, si ha la tragicomica rappresentazione dell’insana presenza dell’alienazione, che induce le persone a muoversi come degli automi, a comportarsi seguendo una volontà eterodiretta, ad andare di fretta senza sapere precisamente perché. Come se si trovassero su una grande giostra a cui l’iniziale piacere di esservi salito non fa seguito l’eventuale intenzione di volervi scendere quando e come meglio si crede. Questo sembra suggerire la bellissima sequenza che precede di poco la fine del film, che ritrae un nutrito numero di auto girare intorno a una rotonda come se si trattasse di un enorme carosello che ripete i suoi giri sempre uguali. Geniale Tati, ha saputo far riflettere sui possibili effetti disturbanti del "progresso" tecnologico giocando con le cause indesiderate che li possono produrre. Con la carica surreale del suo corpo rivoluzionario e attraverso l'irriverenza analitica di una risata.

 


    

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