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Il giardino dei Finzi Contini

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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La recensione su Il giardino dei Finzi Contini

di LorCio
6 stelle

I romanzi di Giorgio Bassani sono storie di fantasmi. Bassani è la quintessenza della nostalgia lucida e tragica, racconta le piccole cose del quotidiano che si scontra con la potenza funesta della Storia. I personaggi di Bassani sono le presenze-assenze di un passato perduto, nella fattispecie gli ebrei di Ferrara (dentro le mura), chi inizialmente legato al fascismo, chi tenacemente contrario e chi garbatamente indifferente. Tutti quanti, non fa esclusioni Bassani, perché il dramma è talmente grande da non poter ignorare la possibilità di una conciliazione.

 

Dopo La lunga notte del ’43, esordio di Florestano Vancini e primo film tratto da un testo di Bassani (un racconto contenuto nelle splendide Cinque storie ferraresi), e prima dell’adattamento che Giuliano Montaldo fece, alla fine degli anni ottanta, del sofferto Gli occhiali d’oro, c’è uno degli ultimi film di Vittorio De Sica, all’epoca settantenne e ormai adagiatosi da tempo, come regista, su film con poche pretese e di facile successo. L’adattamento di uno dei principali romanzi del secondo novecento italiano non poteva che essere un’ottima occasione per tornare a parlare di temi a lui cari in altri tempi e di riacquistare una certa caratura autoriale allora arrugginita. La legittimazione da parte di Bassani, poi, era una manna del cielo.

 

Peccato che poi lo scrittore disconobbe il film, prendendone le distanze e pretendendo la cancellazione del trattino nel doppio cognome del titolo. In effetti De Sica (ma soprattutto i suoi sceneggiatori Vittorio Bonicelli e Ugo Pirro) preferì privilegiare l’aspetto romantico della storia, ponendo l’accento più sull’affascinante personaggio di Micol Finzi-Contini (di cui è impossibile non innamorarsi, complice anche Domenique Sanda di rara bellezza) che sul lento tormento degli ebrei ferraresi di fronte alla tragedia della firma delle leggi razziali.

 

Certamente sono sottolineati l’isolamento degli ebrei dalla vita pubblica (il giardino dei Finzi-Contini è l’unico posto in cui possono giocare a tennis e parlare liberamente, così come la grande biblioteca nella casa della famiglia è l’unico luogo in cui possono studiare) e una sconfinata tristezza, specialmente nel complesso personaggio del padre del protagonista, che nel romanzo ha delle pagine bellissime (le confidenze notturne con il figlio) e sullo schermo è tratteggiato splendidamente da Romolo Valli.

 

D’altro canto, poco convincente risulta la relazione tra Micol e il milanese Melnate (del legnoso ed aitante Fabio Testi, ovvio contraltare del gracile ma più bravo Lino Capolicchio nei panni del protagonista), che avrebbe potuto avere ben più ampio respiro e meno sentimentalismo scontato. Indubbiamente calligrafico, considerando anche l’acquarellica fotografia di Ennio Guarnieri, forse lezioso, sicuramente prevedibile. Ciò nonostante, ebbe parecchi premi, compreso un opinabile Oscar per il miglior film straniero.

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