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Vincere

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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Govinda

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Vincere

di Govinda
2 stelle

Allarmi! Allarmi!
Le idee sono fuggite!
I capolavori sono un'altra cosa!
Dov'è il coraggio, l'ardire? Dov'è la forza, la sfida? Dov'è almeno una delle qualità che partecipano ad un'opera d'arte?
Non resta che intagliare aggettivi altisonanti per descrive un guscio vuoto!
Confuso, arrendevole, lento, noioso, costoso (credo), struggente, il peggio del cinema autorale. Poi, per quello che vale, sarà pure bellissima la fotografia di Ciprì e interessante l'interpretazione di Timi.
Un film che nella parte iniziale si fatica a seguire, poi non si fatica più e ci si annoia. Il regista a più riprese vuole pure strapparti con forza le lacrime (e no! anche melò no!), come quando proiettando una scena del "Monello" di Chaplin si accanisce (senza pietà proprio come il Duce) sulle sofferenze di Ida dopo la chiacchierata (illuminante?) con lo psichiatra.
Resta un racconto fine a se stesso, senza slanci significativi verso concetti universali, dove i riferimenti storici, politici, culturali, religiosi e psicologici sono velleitari.
Lo stile senza contenuto quando non irrita implode ed il collage di immagini storiche contribuisce inesorabilmente allo sfilacciamento del racconto.

Un film che non respira.

Il duce è il duce, il fascismo è il fascismo, la storia è la storia. Nulla si aggiunge e nulla si toglie a tali temi.
Quella di Mussolini, giovane toro da monta (che resterà toro da monta tutta la vita), politco talentuoso che rinnega gli ideali socialisti e maniaco di grandezza personale, non è certo un'immagine che spiazza. Che sia incapace di preoccuparsi di qualcuno che non sia lui, che preferisca la compagnia di donne banali e uomini asserviti, non è certo un'intuizione psicologicamente acuta.
Se poi questo Duce vuole essere metafora del Berlusca (e quanto sembra così!) e il fascismo metafora dell'attualità...saluti e baci ragazzi!
Preferisco supporre che il regista non abbia dato un taglio interpretativo originale del duce perchè non lo voleva dare, non era questo l'obbiettivo.

Piuttosto, nello stato d'animo di sopraffazione che coglie lo spettatore durante tutta la visione, in quel senso claustrofobico di impotenza rappresentato dalla tragica vicenda di Ida, che incarna un idealismo puro ma dogmatico, senza compromessi ma senza riflessioni, il "mi piego ma non mi spezzo", Ida schiacciata, annientata, resa inerme da una forza troppo superiore alla sua, ecco in queste disordinate sensazioni si inserisce flebilmente l'unico valore del film: l'esibita evidenza che quando il contesto sociale e culturale lo permette, il forte schiaccia il debole, perchè del forte è l'unica etica valida e l'unica parola riconosciuta. Quando la critica e il dissenso sono percepiti come "deviazioni" o come impedimenti al "fare" e lo sviluppo della società è interamente orientato all'"azione", allora individuare di volta in volta un nemico da sopraffare resta l'obiettivo principale e il risultato non potrà che essere distruttivo.

Di questo giustamente si lamenta l'esangue Bellocchio in modo cinico, pessimista e depresso, facendo purtroppo sua la posizione attendistica dello psichiatra intellettuale amante della lirica che invita a recitare una parte in attesa di tempi migliori perchè "il fascismo non durerà per sempre", no?

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