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I baci mai dati

Regia di Roberta Torre vedi scheda film

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La recensione su I baci mai dati

di OGM
8 stelle

Una statua della Vergine respira sotto il lenzuolo, e guarda la folla ferma ai suoi piedi, un istante prima di essere scoperta. Inizia così questo melodramma di quartiere, che è una portentosa combinazione di allegoria popolare e kitsch di provincia, di festa di nozze e assemblea di condominio. Questo film ha l’aria ebbra e frastornata di un Almodóvar messo in scena in un teatro di periferia: una rappresentazione realizzata senza la sobria maturità dell’arte, ma con una sfolgorante voglia di bellezza e di poesia. L’elemento surreale ha l’aspetto di un viso troppo truccato, ed  è un anelito di femminilità represso, però sparato verso il cielo.  Di esso, sulla terra, restano soltanto le icone vilipese dal maschilismo imperante in certi contesti disagiati. I residui delle illusioni infrante sono le caricature di una vanità consolatoria, madonne candide e dark ladies, matrone procaci e cover girls, ragazze acqua e sapone e signore con l’acconciatura, tutte reduci da sogni domestici o fantasie cosmetiche, allucinazioni religiose o deliri esoterici. L’isteria è una preghiera rituale, una ballata tragica, una formula divinatoria, un’accorata invocazione di salvezza per una società matriarcale in crisi, i cui ancestrali capisaldi cono andati in frantumi scontrandosi con gli scogli delle frustrazioni contemporanee. Alla donna si chiede di fare, di dare, di apparire, ma mai di essere: la richiesta può essere individuale o collettiva, e riguardare la carne o lo spirito. Le figure femminili, in questo film, sono inquadrate come prostituite o sante, da cui si pretendono sesso o miracoli,  in tanti modi diversi, nessuno dei quali rispetta la loro dignità personale e la libera espressione del loro io. I personaggi delle madri, delle mogli, delle figlie sono resi inquieti e parzialmente schizofrenici da un ruolo paradossale, che le vede protagoniste in quanto vittime, ossia eroine mancate, oppure costrette ad esserlo loro malgrado. Il quadro è impazzito, il femminismo è esploso in mille pezzi, perché il movimento di emancipazione è lacerato dalle rivalità interne, imprigionato nei pregiudizi reciproci, mortificato dal rifiuto di ascoltarsi, conoscersi, capirsi. In questo modo il moderno universo muliebre diventa un egoismo cantato a mille voci, un coro in cui ogni componente è una mater dolorosa delle ingiustizie altrui, che  rabbiosamente rivendica il maltolto. La Madonna di marmo, eretta in mezzo ai casermoni di Librino, perde subito la testa, che cade al suolo spaccata in due: ma il presunto prodigio che la ricolloca al suo posto è, in realtà, solo il frutto di un’innocente bugia. Nessun intervento divino giunge, in quei luoghi, per rimediare ad una situazione desolata e confusa, che ha trasformato il degrado in una diabolica fucina di desideri contraddittori, di individualismi improvvisati, che dimenticano i tesori dell’anima per inseguire le più disparate ed assurde speranze terrene.  I baci mai dati è lo spettacolo di un’umanità da baraccone, che si è ridotta in quello stato per aver trascurato il sommesso bene dei sentimenti, ed averlo sostituito con le urgenze materiali, più o meno pressanti, più o meno giustificate. La frivolezza  diventa l’ex voto della disperazione, e nel frattempo nessuno si accorge della verità straordinaria che vive nel buio, e passa, silenziosa, attraverso il cuore.

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