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Beyond the Black Rainbow

Regia di Panos Cosmatos vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Beyond the Black Rainbow

di gloomysunday
6 stelle

Se avete trovato esasperante la lentezza di "Melancholia" di  Lars von Trier o dell'ultimo Malick, di un certo Cronenberg e perfino dell'amatissimo Kubrick, allora i tempi dilatati di questo "beyond the black rainbow" vi sconcerteranno. Impossibile seguirlo continuativamente, bisogna concedersi qualche pausa per riprendere fiato, una boccata d'ossigeno prima di riimmergersi in quel suo clima tossico, reso angosciante e claustrofobico da una colonna sonora "invasiva", con un massiccio impiego di sintetizzatori che distorcono il suono rendendolo volutamente cacofonico, con una brutale predominanza cromatica di arancio e rosso, che ricorda certe ambientazioni psichedeliche di design e architettura avveniristica anni '70, che oggi (e per fortuna) risultano datate e anche un po' ingenue.

Un aberrante susseguirsi di effetti ottici (non digitali), in linea con le tecniche e le sperimentazioni creative dei tardi anni sessanta. La storia non si sviluppa, a partire dalla sua premessa (ovvero la creazione di una realtà perfetta e felice) ma resta a serpeggiare dentro la cornice di un futuro distopico solo supposto, con echi di orwelliana memoria (malgrado siano assenti le scene corali e non sorprende che si svolga nel 1983: suona quasi come l'antefatto di quel più noto "1984"). L'asettica trama si snoda dentro una sorta di "eden project" andato a male, gestito da un unico grande personaggio, un anti-eroe luciferino che domina la scena, a metà tra Nosferatu e il raffinato psicopatico di tante pellicole degli ultimi vent'anni, a condurre sadici esperimenti su cavie umane, accanendosi in particolare sull' immancabile vergine sacrificale (e inconsapevole portatrice dell'ultima residua bellezza).

 

Un film, questo, che non aspira a farsi amare, che non concede nulla allo spettatore ma che, forse, vuol farsi odiare. Si perde un po' nel finale che, a mio avviso, è stato sacrificato a beneficio della compiaciuta, parossistica lentezza delle prime scene.

Da vedere una volta e basta.

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