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Ombre malesi

Regia di William Wyler vedi scheda film

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La recensione su Ombre malesi

di vermeverde
7 stelle

Ombre malesi (titolo originale The Letter) è stato girato nel 1940 da William Wyler, regista nato in Alsazia quando era  tedesca, che fu uno dei grandi di Hollywood. La storia è una trasposizione dell’omonimo racconto di Somerset Maugham, anche adattato per il teatro, già soggetto di altri film: in questo, però, il finale è diverso, per motivi di “correttezza politica”, cioè di autocensura.

La trama, sostanzialmente, è una sostanzialmente una storia d’amore, genere congeniale al regista, ma lo stile con cui è stata girata ha le caratteristiche visive (uso espressivo delle luci che esaltano volti ed oggetti isolandoli dallo sfondo e delle ombre che danno un senso di insicurezza e sui volti simboleggiando il lato oscuro dei personaggi) e di atmosfera (interni, spesso illuminati da luci tagliate dalle serrande, che racchiudono i personaggi con un vago senso di oppressione ed esterni nell’oscurità minacciosa) tipiche di un noir, motivi per cui il film è generalmente considerato un proto-noir.

Lo spunto della storia è un delitto con il conseguente iter giudiziario e la struttura narrativa è incentrata sulla contrapposizione di due poli opposti, rappresentati da due donne decise, Leslie Crosbie e la signora Hammond, intorno a cui ruotano gli uomini, ciascuno con le sue debolezze e ambiguità: Robert Crosbie (Herbert Marshall) ignaro e superficiale, l’avvocato Howard Joyce (James Stephenson) dibattuto fra il senso di giustizia e la violazione delle regole necessaria per salvare Leslie, l’aiutante dell’avvocato, Ong Chi (Victor Sen Yung), viscido e ambiguo che organizza l’acquisto della lettera per il suo tornaconto economico. Leslie, la principale protagonista del film è interpretata dalla star Bette Davis capace di esprimere i complessi sentimenti della protagonista, conscia della sua perversione, anche solo con i suoi grandi occhi; la sua antagonista, la vedova Hammond (l’attrice di origine danese Gale Sondergaard) appare con movenze ieratiche, granitica e severa come una rupe: memorabile la scena in cui le due donne si confrontano, quasi senza parole, solo con gli sguardi e i giochi di luce sui volti.

I pregi della regia di Wyler si manifestano nella cura della disposizione spaziale degli interni e nella fluidità del montaggio; è molto apprezzata la sequenza iniziale in cui, con una sinuosa carrellata su dolly, introduce l’ambiente e l’atmosfera della storia e inquadra simbolicamente la Luna offuscata dalle nuvole, inquadratura simmetricamente riproposta nel finale. L’ottima resa visiva del film è dovuta al direttore della fotografia Tony Gaudio sei volte candidato all’Oscar e vincitore nel 1937, calabrese come l’altro grande operatore Nicholas Musuraca, il quale ha diretto Bette Davis in ben 11 film del 1933 al 1942. Il commento musicale, con qualche tocco orientaleggiante, è del compositore austriaco Max Steiner, tenuto a battesimo da Richard Strauss e, da bambino, allievo di Brahms.

Non do al film un voto alto a causa del finale, anche se ben girato, non tanto per l’infedeltà all’originale quanto per la sua forte incoerenza con la vendita della lettera proprio da parte della vedova Hammond, cessione che ha permesso l’assoluzione di Leslie.

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